Salari in Puglia: il 40% dei lavoratori sotto i 10mila euro l’anno

Precarietà diffusa e stipendi da sussistenza alimentano l’urgenza del referendum promosso dalla Cgil

Una condizione lavorativa segnata dalla precarietà e da compensi insufficienti emerge con forza dall’analisi condotta dall’Ufficio Economico della Cgil nazionale sui dati Inps del 2023. Il quadro, che esclude i comparti agricolo e domestico, mette in luce che oltre 360mila lavoratori pugliesi del settore privato percepiscono un reddito annuo pari o inferiore a 10mila euro, e altri 122mila non raggiungono i 1.200 euro netti al mese.

A rendere la situazione ancora più critica è la discontinuità occupazionale e la diffusione di contratti a termine, come spiega la segretaria generale della Cgil Puglia, Gigia Bucci. “La precarietà contrattuale e il lavoro part-time sono tra i principali fattori che alimentano salari così bassi”, sottolinea.

L’analisi dettagliata sui contratti e sugli orari di lavoro rivela che più di 280mila lavoratori hanno un impiego a tempo determinato o stagionale, su un totale di 874.784 dipendenti nel settore privato. Una fascia consistente – 150mila persone, pari al 17,2% – si attesta su una retribuzione lorda annua media di appena 5.288 euro. Seguono 98mila lavoratori (11,25%) con poco più di 9mila euro annui, mentre 115mila (13,1%) raggiungono i 10.410 euro lordi all’anno.

Il dato medio regionale non è meno allarmante: la retribuzione annua lorda in Puglia è di 17.630 euro, circa seimila euro in meno rispetto alla media nazionale. Questo si traduce in un salario netto mensile inferiore ai 1.200 euro, rendendo il lavoro insufficiente a garantire una vita dignitosa.

Bucci denuncia apertamente che il mercato del lavoro pugliese si regge su meccanismi di precarietà strutturale, favoriti da settori economici con forte stagionalità e da una frammentazione che lascia spazio a forme di ricatto e violazioni dei diritti. In particolare, si punta il dito contro pratiche che svuotano le tutele dei lavoratori, sfruttando la vulnerabilità di chi si trova costretto ad accettare condizioni svantaggiose pur di lavorare.

La Cgil, proprio alla luce di questi numeri, rilancia la sua campagna a favore dei referendum sul lavoro. “Rafforzare le tutele contro i licenziamenti ingiustificati e limitare l’abuso dei contratti a termine non è solo un atto di giustizia sociale, ma una misura urgente e necessaria”, afferma Bucci. Ignorare queste richieste, secondo la sindacalista, significa voltare le spalle a migliaia di lavoratrici e lavoratori costretti a vivere in una condizione di povertà, nonostante abbiano un’occupazione.

“Se qualcuno pensa che il modello di sviluppo debba basarsi su precarietà e salari da fame – conclude Bucci – la Cgil sarà in campo a difendere la dignità del lavoro, indipendentemente dall’esito delle urne dell’8 e 9 giugno”.

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