In Puglia, la precarietà lavorativa è una condizione sempre più diffusa, con gravi implicazioni sociali ed economiche. Secondo i dati presentati dalla Cgil regionale in occasione di una conferenza all’Università degli Studi di Bari, oltre mezzo milione di lavoratori nel settore privato percepisce uno stipendio netto inferiore o pari a mille euro al mese, pari al 56,8% del totale. Di questi, più di 280mila risultano occupati con contratti a termine, e un terzo di loro si trova in questa condizione da oltre cinque anni, segno evidente di una mancanza di prospettive occupazionali stabili.
Solo il 36% degli occupati pugliesi si dichiara soddisfatto del proprio salario, mentre il dato sulla permanenza media nel posto di lavoro è allarmante: un lavoratore su dieci resta impiegato meno di due mesi. Tale instabilità, unita a salari minimi, contribuisce a un contesto di crescente vulnerabilità economica, come dimostrano le statistiche: quasi un terzo della popolazione pugliese vive in famiglie con redditi al di sotto della soglia di povertà.
Il report è stato illustrato dalla segretaria generale della Cgil Puglia, Gigia Bucci, dall’economista Michele Capriati e da Nicolò Giangrande, responsabile dell’Ufficio Economia della Cgil nazionale. Proprio Giangrande ha messo in luce il quadro nazionale da cui emerge una dinamica simile: il salario lordo annuo medio, esclusi agricoltura e lavoro domestico, è pari a 23.662 euro, e la diffusione di contratti part time, a tempo determinato e la discontinuità lavorativa determinano una significativa riduzione del reddito reale dei lavoratori.
Il tema del “lavoro povero e precario in Puglia” è stato scelto come focus dalla Cgil per sostenere le ragioni dei quesiti referendari sul lavoro, ponendo l’accento sugli indicatori qualitativi dell’occupazione. Il sindacato intende così rafforzare la consapevolezza pubblica sulla necessità di una riforma strutturale del mercato del lavoro, volta a contrastare le forme contrattuali più instabili e a tutelare maggiormente il potere d’acquisto dei lavoratori.
Secondo Capriati, l’attuale modello di sviluppo, fondato sulla svalutazione del lavoro e sul contenimento dei salari, ha contribuito a una diffusa erosione della ricchezza, colpendo non solo i lavoratori ma anche la capacità produttiva complessiva del Paese. Il referendum promosso dalla Cgil si propone di modificare le leggi che regolano il lavoro, rimettendo al centro la dignità e la stabilità occupazionale, elementi ormai sempre più rari in molte aree del Sud.