È stata cancellata dalla Corte costituzionale la norma che obbligava i sindaci pugliesi intenzionati a candidarsi alle elezioni regionali a dimettersi entro 180 giorni dalla fine naturale della legislatura. L’articolo 219 della legge regionale n. 42 del 2024 è stato ritenuto in contrasto con gli articoli 3 e 51 della Costituzione, che tutelano rispettivamente il principio di uguaglianza e il diritto all’elettorato passivo. A presentare il ricorso era stato il Governo, che ha ottenuto parere favorevole con la sentenza n. 131.
La disciplina regionale, introdotta con un emendamento alla legge di bilancio, era stata aspramente criticata fin dalla sua approvazione. Secondo il testo bocciato, i sindaci avrebbero dovuto lasciare l’incarico sei mesi prima della scadenza del consiglio regionale oppure entro sette giorni dallo scioglimento anticipato dello stesso, qualora ciò avvenisse prima degli ultimi sei mesi del mandato. Una disposizione che la Corte ha giudicato “irragionevole e sproporzionata”, penalizzando ingiustamente gli amministratori locali.
Il sindaco di Bari, Vito Leccese, ha espresso soddisfazione per la decisione: “Giù le mani dai sindaci. Era un emendamento che voleva solo impedire la partecipazione in condizioni eque alle elezioni regionali”. Leccese era stato uno dei primi a sollevare il caso, denunciando pubblicamente la disparità di trattamento tra sindaci e altri cittadini. In assenza di un intervento del consiglio regionale per correggere la norma, la questione è finita davanti ai giudici costituzionali.
L’ex sindaco e oggi europarlamentare Antonio Decaro ha parlato di “una brutta pagina politica” che si chiude grazie alla Corte. “Si trattava di un abuso di potere – ha affermato – messo in atto per escludere figure scomode dalla competizione elettorale. Questo ostruzionismo non ha nulla a che vedere con il corretto funzionamento delle istituzioni”.
Nella normativa precedente, i sindaci che intendevano candidarsi alle regionali dovevano dimettersi entro trenta giorni prima della presentazione delle candidature, una tempistica che la Consulta considera più equa e conforme ai principi costituzionali. Al contrario, la norma contestata avrebbe di fatto costretto molti amministratori a rinunciare al proprio incarico troppo presto, compromettendo sia il lavoro svolto sul territorio che la possibilità di una candidatura reale.
Per Leccese, la bocciatura rappresenta “la conferma che quel provvedimento era uno strumento politico mascherato da riforma amministrativa”. Il primo cittadino aveva promosso diverse iniziative pubbliche e istituzionali contro l’emendamento, trovando il sostegno anche di altre figure politiche locali e nazionali.