Il Journal of Cannabis Research ha pubblicato il primo case report clinico italiano relativo all’uso della cannabis terapeutica nella pancreatite cronica con dolore severo e refrattario. L’articolo racconta la vicenda di una donna di 54 anni che, dopo oltre due decenni di cure inefficaci, ha visto la propria vita trasformarsi.
Per anni, la paziente aveva convissuto con dolori addominali intensi, perdita di peso fino a raggiungere appena 36 chilogrammi, assenza di ciclo mestruale e un marcato peggioramento della qualità di vita. Né farmaci tradizionali né interventi chirurgici — incluso l’impianto temporaneo di un’endoprotesi, poi rimosso per infezione — avevano offerto un miglioramento duraturo.
Il cambiamento è arrivato quando la donna si è rivolta all’ambulatorio di Terapia del Dolore dell’ASL di Bari, diretto dal dottor Felice Spaccavento. Qui le è stata prescritta una terapia con olio di cannabis ad alto contenuto di Cbd. I risultati sono stati sorprendenti: nel giro di pochi giorni il dolore è scomparso e, nei 16 mesi successivi (da febbraio 2024 a giugno 2025), non si sono più verificati episodi acuti. La paziente ha recuperato peso, appetito, sonno, ciclo mestruale e ha potuto interrompere tutti gli altri trattamenti farmacologici.
Secondo i ricercatori, tra cui il professor Silvio Tafuri dell’Università di Bari, la pancreatite cronica resta una malattia complessa, con opzioni terapeutiche limitate per il controllo del dolore. Questo caso dimostra che la cannabis medica può offrire un’alternativa efficace e ben tollerata, capace di portare a una remissione clinica completa nei pazienti selezionati.
Il dottor Spaccavento sottolinea che la cannabis non rappresenta una cura universale, ma in determinate condizioni può cambiare radicalmente il decorso della malattia. La risposta positiva della paziente suggerisce che i cannabinoidi possano ridurre frequenza e intensità degli episodi dolorosi nella pancreatite cronica. Tuttavia, i medici evidenziano la necessità di ulteriori studi clinici su larga scala per confermare questi dati.
Il caso mette in luce un tema cruciale per migliaia di italiani che vivono con dolore cronico resistente alle terapie tradizionali: la possibilità di integrare i cannabinoidi nei protocolli terapeutici, aprendo la strada a nuove prospettive nella gestione di patologie gravi e debilitanti.